L’esperienza psicologica del caregiver in cure palliative

Un Caregiver spinge la carrozzina di una persona anziana

L’esperienza psicologica del caregiver in cure palliative

Alice Corà Curare a Casa OdV

L’ambito specifico dell’assistenza da parte di un familiare ad un proprio caro affetto da una malattia inguaribile è un’area ancora poco esplorata e culturalmente evitata, in relazione ad un più generale atteggiamento di oscuramento dei temi della sofferenza, della perdita e della morte. Chi si addentra in questo mondo invece può abbracciare una sfera di emozioni e di significati capace di contribuire ad una crescita personale e spirituale. Invito quindi il lettore coinvolto nella fugace società di oggi a prendersi un po’ di tempo per esplorare questo tema per sé e per aprire gli occhi verso il nostro vicino.

Per comprendere cosa significa palliativo dobbiamo ritornare alla sua radice etimologica: dal latino tardo palliare «coprire con il pallio, con il mantello». Ci si deve riferire alle cure palliative per indicare tutte quelle cure destinate a lenire le sofferenze della persona morente avvolgendola in un caldo mantello (pallio) di dolcezza, assistenza medica, comprensione e conforto.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (2002), “Le cure palliative sono un approccio atto a migliorare la qualità di vita dei pazienti, confrontati con una malattia inguaribile ed evolutiva, e dei loro familiari, attraverso la prevenzione e l’alleviamento della sofferenza ottenuti grazie alla precoce identificazione, alla valutazione accurata e al trattamento del dolore e dell’insieme dei problemi fisici, psicosociali e spirituali.”

L’European Association for Palliative Care Onlus nel 1998 le ha definite “la cura attiva e globale prestata al paziente quando la malattia non risponde più alle terapie aventi come scopo la guarigione. Il controllo del dolore e degli altri sintomi, dei problemi psicologici, sociali e spirituali assume importanza primaria. Le cure palliative hanno carattere interdisciplinare e coinvolgono il paziente, la sua famiglia e la comunità in generale. Provvedono una presa in carico del paziente che si preoccupi di garantire i bisogni più elementari ovunque si trovi il paziente, a casa o in ospedale. Le cure palliative rispettano la vita e considerano il morire un processo naturale. Il loro scopo non è quello di accelerare o differire la morte, ma quello di preservare la migliore qualità della vita possibile fino alla fine.”

Si tratta quindi di una forma di cura molto complessa proprio perché cucita su misura per permettere la miglior qualità di vita e di morte alla persona malata, che deve essere informata e messa nella possibilità di scegliere. Essa richiede una complessità di figure professionali che integrino i propri sguardi e aiutino a trovare la trama migliore con gli strumenti del medico, dell’infermiere, dell’operatore, dello psicologo, del volontario, dell’assistente spirituale… Nelle cure palliative, il modo di stare in relazione tra persone oltre che come professionisti può permettere al paziente di sentirsi portatore di un’identità piena di dignità e di senso fino alla fine. Per dirla con le parole di Robin Williams nel noto film Patch Adams, «Quando curi una malattia puoi vincere o perdere, quando ti prendi cura di una persona vinci sempre». E il modo in cui ci si è presi cura della persona nel suo fine vita influenzerà il familiare nell’elaborazione della perdita. Un buon percorso di accompagnamento dove il caregiver può aver assistito a tutte le fasi del morire con la possibilità di superare i sospesi, di dialogare e vivere momenti di serenità familiare, permetterà un superamento più sereno del dolore della perdita.

«Tu sei importante perché sei tu, e sei importante fino all´ultimo momento della tua vita. Faremo ogni cosa possibile non solo per permetterti di morire in pace, ma anche per farti vivere fino al momento della tua morte» diceva la pioniera Dame Cicely Saunders nel suo libro Vegliate con me (2008).

Le cure palliative riguardano tutte le condizioni di malattia cosiddette “life limiting” includendo non solo le malattie oncologiche ma anche le patologie cardiache e respiratorie gravi, le malattie neurodegenerative, le demenze. Le cure palliative dovrebbero iniziare precocemente, già durante le cure attive per permettere una cura globale della sintomatologia che può disturbare la persona ed evitare un passaggio brusco dalle cure attive a quelle palliative, con una sinergia già creata nel tempo tra i curanti.

I luoghi privilegiati delle cure palliative sono il domicilio del paziente oppure realtà dedicate come gli hospice. Gli hospice sono luoghi di ricovero per le persone malate, finalizzati ad offrire le migliori cure palliative, quando non possono essere attuate presso il proprio domicilio (per es. per assenza o limiti nella rete di caregiver o inadeguatezza dell’ambiente), e di accoglienza anche per i loro familiari. Il setting dell’hospice accoglie i familiari con la possibilità di sostare anche 24h su 24, dormire nella stanza del paziente (che dovrebbe essere singola) in un divano letto, pranzare nella cucina dedicata o utilizzare un salottino, un luogo che ricalca la casa e che permetta di avere la necessaria privacy in un atteggiamento di accoglienza e delicatezza.

Le norme principali di riferimento, che hanno contributo a potenziare e rendere sempre più conosciute le cure palliative dall’opinione pubblica sono: la legge 15 marzo 2010, n. 38 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore.” (GU Serie Generale n.65 del 19-03-2010) e la legge 22 dicembre 2017, n. 219 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento.” (GU Serie Generale n.12 del 16-01-2018).

L’esperienza del COVID ha reso tuttavia critiche le condizioni delle cure palliative (realtà in cui gli hospice sono stati delocalizzati e spostati in aree ospedaliere non specifiche, impossibilità di vedere i propri congiunti per le norme di sicurezza, mancata possibilità di celebrare i funerali ed altre occasioni sociali di commiato) e stiamo solo oggi iniziando a piccoli passi a vedere una ripartenza. Speriamo che l’importanza del caregiver, messa più in luce della pandemia, permetta un sempre maggior investimento in termini politici, economici, sociali e lavorativi, oltre che contribuire a rendere più sensibili i governi e la popolazione ai loro bisogni di salute.

Quali sono i vissuti di un caregiver in cure palliative? Un range di stati emotivi che possono variare da normali quote di ansia, tristezza e rabbia fino a stati di angoscia e disperazione difficili da affrontare senza una rete di sostegno o un aiuto specialistico. Le cinque fasi del dolore della Kübler-Ross (1969) sono un modello ancora attuale per descrivere l’evoluzione dei vissuti del caregiver che sarebbero speculari a quelli dei pazienti, anche se potrebbero esprimersi in tempi diversi. Le fasi sono diniego, rabbia, contrattazione, depressione e accettazione. Il modo in cui il familiare reagisce alla condizione estrema della sofferenza del proprio caro dipende anche da una serie di fattori che riguardano la sua personalità, la modalità di reazione agli eventi stressanti, la presenza di precedenti sofferenze psicologiche, la fase di vita in cui arriva la malattia, il ruolo della persona ammalata nel contesto familiare e sociale ed il supporto dell’ambiente e della rete di cura. Inoltre, il decorso della malattia e il sistema di valori di riferimento contribuiscono in modo rilevante.

Dalla letteratura vi è evidenza di un picco di ansia, depressione e distress psicologico associato al peggioramento dello stato funzionale del paziente e all’avvicinarsi del momento della morte (secondo la revisione sistematica di Williams e McCorkle Ruth del 2011). Emerge inoltre una mutualità nello stato psicologico del paziente e quello del suo caregiver. Come diretta conseguenza dell’assunzione del ruolo di caregiver, i familiari di malati oncologici in cure palliative durante la malattia in fase terminale e nel lutto sono ad aumentato rischio di disturbi dell’area fisica e psichica. C’è inoltre da considerare l’importanza di riconoscere e trattare il burden del caregiver anche perché esso può avere effetti deleteri sulla qualità di vita del paziente.

D’altra parte, i vissuti dell’esperienza del caregiver possono essere anche molto positivi: molti riportano nelle sedute il piacere di vivere con maggior intensità ogni giorno insieme, il poter cogliere dei lati nuovi di sé e del proprio congiunto ancora inesplorati, il veder rafforzato il legame di coppia e familiare. Spesso ci si sente orgogliosi e grati di poter avere un ruolo così importante nella cura del proprio congiunto e, nonostante la fatica, prevale la bellezza dell’accompagnamento. “La malattia viene per guarire”, il titolo della testimonianza di Bruna Girardi nel libretto di sensibilizzazione di Rete Caregiver racconta proprio di questo risvolto positivo.

A due anni di distanza, una volta depositata la cenere del dolore […] ho ripensato a quanto mi si ribadiva con insistenza e ne ho finalmente colto il senso e la veridicità. Nella malattia ho finalmente ritrovato il mio Vittorio, quello premuroso, affettuoso e tenero di sempre. E io, forse, gli ho testimoniato che “nella buona e nella cattiva sorte” la “sua Bruna” gli è sempre stata vicina con incondizionato amore. Ecco dunque: la sofferenza non è stata fine a se stessa, ma mi ha permesso di recuperare tutto il bene vissuto con Vittorio e mi ha dato la forza di stargli accanto nel momento più difficile, quando si è schiusa “la soglia del suo giaciglio di terra” (da Un giorno di Vincenzo Fumarola).

Una figlia che ha seguito la madre malata oncologica mi ha espresso questa saggezza “i dolori ti danno la consapevolezza di tante cose: la famiglia, gli affetti. La famiglia è il tuo rifugio, la tua forza, i veri amici… Dobbiamo essere grati della vita che è un miracolo…”

Considerando il caregiver in cure palliative come parte integrante dell’unità di cura, la valutazione della situazione e dei bisogni dei caregiver e la possibilità di inviarli ai servizi e alle risorse più appropriate dovrebbe essere un caposaldo.  Ciò richiede un focus e l’investimento di risorse per l’educazione ed il supporto ai caregiver e ai professionisti che li incontrano (Alam, Hannon, Zimmermann, 2020), aspetti non sempre presenti in modo sufficiente ed omogeneo nei territori.

Sarebbe importante intercettare e sostenere precocemente il caregiver durante il percorso di malattia del congiunto, e la cura dovrebbe estendersi anche nella fase del lutto. Il sostegno psicologico nel percorso del lutto è infatti parte integrante delle cure palliative. Si tratta di un accompagnamento che, partendo dall’individuazione di aspetti fisiologici e/o di rischio nell’elaborazione del lutto, offre percorsi psicologici mirati o gruppi di sostegno o di auto mutuo aiuto.

E’ fondamentale pertanto aiutare i caregiver ad attraversare tali situazioni complesse e dolorose per poterle superare e gradualmente tornare ad un equilibrio psicologico.

La Psicologia ha evidenziato come vi sia una possibilità trasformativa positiva proprio dall’attraversamento di situazioni limite. La crescita post – traumatica (termine coniato da Richard Tedeschi e Lawrence Calhoun negli anni ‘90) può riguardare queste aree centrali di vita:

  • Relazione con gli altri: cambiamento nei comportamenti a livello interpersonale, costruzione di nuove relazioni e rinsaldamento di quelle vecchie, maggiore senso di compassione ed empatia per gli altri;
  • Nuove possibilità: cambiamenti negli scopi di vita, apertura nei confronti di nuove esperienze, modo di affrontare le scelte più consapevolmente;
  • Forza personale: cambiamento nel percepire la propria identità, maggiore affidamento su di sé nell’affrontare gli ostacoli della vita, migliore accettazione delle circostanze anche sfavorevoli correlato con un senso di vulnerabilità;
  • Cambiamento nella spiritualità: maggiore consapevolezza delle proprie credenze religiose, aumento della condivisione dei momenti spirituali con gli altri;
  • Apprezzamento per la vita: cambiamento nella visione della vita e del mondo correlato ad una sensazione di “essere stati fortunati”, desiderio di vivere più pienamente ogni singolo giorno della propria vita, cambiamento delle priorità e nascita di nuovi valori della vita.

Vi invito inoltre a cogliere proprio dal tema della morte, così doloroso e tabù nella nostra cultura, degli inviti alla vita, così come li chiama Frank Ostaseski (2017).

Mi piace concludere con queste parole di Marie De Hennezel (1998) che possono permettere di cogliere la bellezza del caregiving in cure palliative «Chi ha il privilegio di accompagnare qualcuno negli ultimi istanti della vita sa di entrare in una dimensione molto intima. La persona, prima di morire, vorrà lasciare accanto a chi l’accompagna l’essenziale di sé. Con un gesto, una parola, a volte solo con uno sguardo, tenterà di dire ciò che conta davvero, e che non sempre ha potuto o saputo dire.” “E’ forse proprio il pensiero della morte che ci spinge a non accontentarci di rimanere alla superficie delle cose e delle persone, che ci spinge a entrare nella loro intimità più profonda».

                                                                                         

Alam S, Hannon B, Zimmermann C. (2020) Palliative Care for Family Caregivers. Review J Clin Oncol; 38(9):926-936.

De Hennezel Marie (1998) La morte amica. Lezioni di vita da chi sta per morire Traduttore: L. Revelli. Segrate (MI), Rizzoli.

Kübler-Ross Elisabeth, On death and dying, Macmillan, 1969. Riedito come On Death and Dying. What the Dying Have to Teach Doctors, Nurses, Clergy and Their Own Families, Taylor & Francis, 40ª ed. 2008. Trad. it.: La morte e il morire, Assisi, Cittadella, 1976. 13ª ed.: 2005.

Ostaseski Frank (2017) Cinque inviti. Come la morte può insegnarci a vivere pienamente. Claudio Lamparelli (Traduttore). Segrate (MI), Mondadori.

Saunders Cicely, Vegliate con me. Hospice. Un’ispirazione per la cura della vita, Edb, Bologna, 2008

Williams Anna-Leila, McCorkle Ruth (2011) Cancer family caregivers during the palliative, hospice, and bereavement phases: a review of the descriptive psychosocial literature. Review Palliat Support Care; 9(3):315-25.



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